Il Ballo della Pupazza


Abilità manuale e culto della terra tra sacro e profano


In estate, all’inizio dell’inverno o per le feste patronali… c’è sempre un’occasione per far festa con il Ballo della Pupazza fra suoni, colori e tradizioni.
La Pupazza (o Pantàsema, Mammoccia, Signoraccia o ancora Marmotta, com’è chiamata in alcuni paesi) è un enorme fantoccio, realizzato modellando la cartapesta su uno scheletro conico di legno e canne. Al culmine della festa un manovratore ci s’infila dentro lanciandosi in danze e piroette in cui coinvolge anche il pubblico. Lo spettacolo termina con l’accensione dei fuochi d’artificio inseriti nella Pupazza che arde in un grande falò.
Tradizione comune a molti paesi montani tra il Lazio e l’Abruzzo, il Ballo della Pupazza è diffuso soprattutto in Val d’Aniene, dove si pratica in quasi tutti i borghi. È un’usanza che affonda le sue radici nella notte dei tempi, probabilmente collegata ai riti arcaici del fuoco e alle feste dei raccolti. Le forme prosperose evocano le antiche divinità matriarcali ma, benché sia sempre gigantesca e formosa, la Pupazza è personalizzata, di borgo in borgo, da elementi del costume tipico. Sempre più spesso, poi, è affiancata da un accompagnatore, bruciato anch’esso alla fine della festa.
Il Ballo della Pupazza è una festa di condivisione a cui partecipa l’intera comunità, fin dall’allestimento, tramandando antiche tecniche, saperi e processi creativi. Per salvaguardare quest’aspetto della cultura valligiana il Museo della Civiltà Contadina di Roviano ha fondato un laboratorio, condotto da costruttori locali, e organizza workshop gratuiti aperti a tutti. Abili costruttori della pupazza sono anche gli jennesi che la chiamano “Pantàsema” e ne fanno una versione enorme, alta fino a quattro metri


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